Il Web 2.0 e l'innovazione nella PA

"La vita è quello che ti succede mentre sei impegnato in altri progetti” (J.L.)

Solo le raccomandazioni potranno salvare l’Italia

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di Emiliano Pecis (linkedin: http://it.linkedin.com/in/pecis)

Prima di tutto mettiamoci d’accordo sui termini. Solo in Italia la parola raccomandazione ha un’accezione negativa. Provate a chiedere ad uno dei più famosi dizionari online (wordreference.com) di tradurre la parola “raccomandazione”, ecco cosa ritorna:

il dizionario, come sinonimo di raccomandazione suggerisce anche spintarella. Peccato che per tutto il resto del mondo, la raccomandazione sia soltanto una semplice segnalazione, come ci suggerisce lo stesso dizionario quando gli chiediamo di tradurre dall’inglese all’italiano:

Che differenza c’è tra una raccomandazione intesa come spintarella e una raccomandazione intesa come semplice segnalazione? La prima fa leva su un rapporto di forze basato sulla subalternità: il potente di turno che chiede ad un suo subalterno di promuovere tizio o caio, al fine di intrecciare un virale rapporto clientelare (il raccomandato sarà a sua volta un suo subalterno). Per contro, la segnalazione è basata su un’assunzione di responsabilità: chi segnala si prende l’onere di garantire sulla persona indicata. Da una parte si produce un malcostume che, a sua volta, crea spesso e volentieri, incompetenza, opacità e sopraffazione, dall’altra si promuove una sana cultura meritocratica e trasparente.

Le raccomandazioni e il Web 2.0

Chiarito questo fraintendimento tutto italiano, provate ad immaginare cosa accade quando la sana segnalazione viene fatta da una moltitudine di persone, ovvero quando si fa leva su quella che viene definita,  intelligenza collettiva. Questo sistema di raccomandazione collettiva è alla base del successo di moltissime piattaforme cosiddette web 2.0, che fanno affidamento su quello che viene definito, per l’appunto, recommendation engine, ovvero un motore di raccomandazioni. E’ interessante notare come la ricerca di modelli di business alternativi e innovativi da parte di aziende spesso e volentieri semplici startup-  possano in qualche modo produrre qualcosa che va ben oltre il mero business: a volte infatti forniscono delle vere e proprie lezioni utili da imparare e fare proprie (magari per provare a riproporle in altri contesti, come ad esempio nella società civile, ma questo lo vedremo più avanti).

La lezione di Linkedin

Secondo Linkedin “un profilo completo moltiplica di 40 volte le probabilità di ricevere opportunità (di lavoro)”. E per completarlo vi consiglia di farvi raccomandare. Scusa, come hai detto? Ne abbiamo già parlato: si intende nel senso non-italiano del termine, si parla di endorsement, di segnalazione, di assunzione di responsabilità.   Linkedin ha basato tutto il suo modello di business, sulle relazioni umane, sul network di contatti esistente da quando esiste l’uomo e la sua innata capacità di essere un animale prettamente sociale.

La lezione di Amazon

Una delle prime è stata Amazon, quando in tempi non sospetti ha cominciato ad analizzare il comportamento dei propri clienti, per tirar fuori l’utile suggerimento del tipo: “chi ha comprato questo titolo, si è poi interessato anche a quest’altro”, unendo in questo modo il concetto di pubblicità e servizio, promuovendo cioè il consumer in prosumer: ovvero quando il consumatore diventando parte attiva nel ciclo di vendita del prodotto, fornisce feedback, segnalazioni, raccomandazioni.

La lezione di eBay

Stesso dicasi per la piattaforma di aste online più famosa del mondo: eBay. La prima verifica che faccio quando mi accingo a comprare un prodotto da un venditore che non conosco su eBay è guardare il suo punteggio di feedback. Ovvero quante persone hanno comprato da lui/lei e la relativa percentuale di gradimento. Se gli acquirenti sono più di mille e il feedback è superiore al 99.0%, allora ho una buona possibilità di avere a che fare con un venditore serio ed affidabile.

La lezione di Google

Per non parlare di Google che grazie alle referenze ha creato l’algoritmo di ricerca più efficiente del web: infatti secondo Google non è tanto importante il numero di ricorrenze del termine cercato, quanto l’affidabilità del sito che ha pubblicato quella determinata pagina web. Google considera tanto affidabile un sito quanto più viene linkato da altri (dove fa la differenza anche la loro reputazione) premiandolo con un page ranking superiore, che si traduce in una maggiore visibilità (primi posti) nei risultati di ricerca. Ancora una volta: sono le referenze, le raccomandazioni, le segnalazioni a creare quel circolo virtuoso che abilitano e promuovono un processo meritocratico di cui tutti possono usufruire. E’ il modello win-win, dove vincono tutti: il consumatore, il venditore, chi cerca e chi si fa cercare.

La lezione (più subdola) di Facebook

Ovviamente ci sono anche le inevitabili speculazioni, dove le stesse informazioni raccolte direttamente dagli utenti vengono utilizzate per soli scopi commerciali. E’ il modello di business di Facebook, per intenderci, che è apparentemente gratuito per l’utente (per questo più subdolo), ma che in realtà utilizza tutte le nostre informazioni “private” per poter macinare statistiche, campagne di marketing personalizzate, etc etc. Decine, centinaia, migliaia di utenti cliccando su “mi piace” di un determinato elemento, forniscono una propria segnalazione, che poi verrà macinata da software di business intelligence di società di terze parti, che sapranno -sicuramente- monetizzarle a dovere.

Lezioni imparate, per cosa?

Ma se questo sistema di referenze lo utilizzassimo per il bene della collettività, invece che per il mero scopo di business? Se centinaia, migliaia, milioni di italiani avessero la possibilità di dare il proprio gradimento su ogni singolo ente pubblico che vada dalle poste, all’istituto scolastico, passando magari per banche, medici, politici e avvocati? Cosa succederebbe? Una inevitabile rivoluzione dagli incredibili effetti benefici e salutari per tutto il nostro (moribondo) paese. Devo farmi operare da un chirurgo e per questo vorrei tanto sapere cosa ne pensano i pazienti da lui operati fino a quel momento. Le eventuali critiche negative non mi spaventerebbero se fossero affogate nell’1% dei totali pazienti trattati, come ci insegna eBay: c’è sempre il caso più sfortunato, siamo umani, lo considererei normale, fisiologico. Devo iscrivere mio figlio ad un istituto scolastico e vorrei sapere come la pensano i genitori che ci sono già passati: la gestione manageriale, cosa ne pensano del corpo docente, e via di seguito. Vorrei avere insomma quelle informazioni che altrimenti non riuscirei mai ad ottenere qualora dovessi chiederle al diretto interessato.

Le raccomandazioni collettive contro l’opacità corporativa

In pratica la conoscenza collettiva che viene dal basso può rimediare alla mancanza di trasparenza, che non ci viene concessa dall’alto. Ecco a voi la società 2.0 contro la superata e moribonda società 1.0. Gli utenti, i cittadini, il popolo si riprende tutto il potere (l’informazione) necessario per non farsi più sottomettere da logiche vecchie, corporative e lobbistiche. Ovviamente la raccolta delle segnalazioni da parte dei consumatori, pazienti, utenti deve essere gestita dal basso: per intenderci qui non stiamo parlando del survey che l’azienda manda al consumatore per sapere cosa ne pensa del servizio offerto, o degli emoticon di brunettiana memoria, perché se quelle informazioni raccolte non vengono poi rese pubbliche, o vengono comunque gestite (manipolate?) dal diretto interessato, non servono praticamente a nessuno.

Tutto molto interessante, ma c’è un prezzo da pagare

Un sistema, una piattaforma che liberi questo tipo di informazioni per restituirle agli utenti, ai cittadini, ha ovviamente un prezzo da pagare. Non mi riferisco al costo vivo dei necessari mezzi impiegati, quello sarebbe il minimo. Io stesso sarei in grado di mettere in piedi in poco tempo una piattaforma web capace di raccogliere, elaborare, aggregare le informazioni fornite dagli utenti.  Il vero prezzo da pagare si chiama partecipazione. Gli utenti, i pazienti, i cittadini dovrebbero sforzarsi di partecipare, dire la propria, raccomandare, criticare, consigliare. Si chiama impegno sociale, e senza di quello non si ottiene nulla. Molto probabilmente è più facile e comodo chiedere una raccomandazione, pardon, una spintarella.

Webbliografia

Emoticon, ecco i primi risultati: http://www.renatobrunetta.it/2009/04/17/emoticon-ecco-i-primi-risultati/

Written by Pietro Monti

16 settembre 2010 a 9:49 PM

2 Risposte

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  1. […] qui per comodità un articolo che scrissi per il blog di un dirigente Inail (Pietro Monti). Prima di tutto mettiamoci d’accordo […]

  2. interessantissimo questo post, Bravo Pietro, quasi quasi ti raccomando anche io !!!!!
    Buon lavoro e complimenti

    Fiammetta applaude

    26 gennaio 2011 at 10:08 AM


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